TUMORE PER 3 MILIONI DI ITALIANI, UN QUARTO E’ GIA’ GUARITO

TUMORI

Nel 2015 il numero di italiani che hanno ricevuto una diagnosi di tumore e sono ancora in vita toccherà i tre milioni, ma di questi una persona su quattro può considerarsi ‘già guarita’, perchè la sua aspettativa di vita è la stessa della popolazione generale. Lo afferma il rapporto Airtum 2014 sui tumori in Italia presentato nella mattinata del 09 marzo a Roma. Lo studio, condotto sui 45 registri tumori italiani che coprono il 53% della popolazione, ha calcolato un aumento del 20% dei casi rispetto al 2010. Oltre il 20% dei maschi e il 13% dell femmine sopra i 75 anni sono interessati dal fenomeno. ”Il tumore principale per le donne è quello della mammella, che colpisce oltre 600mila donne – ha spiegato Stefano Guzzinati del registro tumori del Veneto -, mentre sono 300mila i maschi che hanno ricevuto una diagnosi di tumore della prostata”. L’analisi ha calcolato anche quanto è necessario aspettare dopo la diagnosi per potersi considerare guariti. Per il tumore della mammella ad esempio oltre il 50% delle donne con la diagnosi non morirà a causa della malattia, ma servono 20 anni per potersi dichiarare guariti. Un dato simile si trova per quello della prostata, mentre per il colon retto è meno della metà. ”Il messaggio che dobbiamo dare oggi è di concretezza e di speranza – ha affermato il ministro della Salute Beatrice Lorenzin – il passaggio dalla sopravvivenza alla guarigione è già stato fatto a livello scientifico, sappiamo che uno su quattro guarisce però sappiamo anche che i tumori aumentano, è una sfida che dobbiamo cogliere”.I farmaci innovativi contro i tumori che stanno per arrivare vanno garantiti a tutti i malati nonostante l’alto costo. Lo ha affermato il ministro della Salute Beatrice Lorenzin a margine della presentazione del rapporto Airtum 2014. ”Noi abbiamo già cominciato ad affrontare il tema con il fondo sugli innovativi che non è solo il fondo sull’epatite C – ha spiegato -. Ci troveremo a dover affrontare una nuova fase della sanità italiana, cosa che sto cercando di spiegare anche agli attori economici, in cui i modelli che abbiamo applicato negli ultimi 15 anni per il funzionamento della spesa farmaceutica non funzionano più e non funzioneranno perchè l’impatto della ricerca scientifica con le nuove molecole sarà enorme nei prossimi cinque anni. Un sistema come il nostro deve essere in grado di garantire a tutti l’accesso a questi farmaci in modo universalistico che o ti guariscono o ti aumentano in modo eccezionale l’aspettativa di vita”.

ARRIVA DI GENNARO

BONO

Come aveva annunciato Simonetta Bonomi lascia la Calabria per il Veneto, Padova per la precisione.L’ex-soprintendente per i beni archeologici per la Calabria torna a casa su sua richiesta. Al posto della Bonomi, in Calabria arriverà, a guidare l’ufficio così delicato, Francesco Di Gennaro, che dirige attualmente il museo nazionale d’Arte Orientale “Giuseppe Tucci” e il Museo nazionale Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini”.Tra le esperienze professionali di Di Gennaro, spicca quella da ispettore Archeologo dal 10 febbraio 2006 e di archeologo direttore coordinatore, con responsabilità in un settore territoriale della Soprintendenza Archeologica di Roma. Inoltre, è professore a contratto dell’insegnamento di Antichità italiche all’Università di Cassino. A rendere noto il cambiamento una lettera del ministero che conferma il suo passaggio a Padova, lettera che conteneva anche la risposta, dello stesso Mibac all’interrogazione presentata dal senatore Nicola Morra (M5S) sulle polemiche relative ai lavori di Capocolonna, in cui il dicastero ha dato ragione alla Soprintendente, su tutta la linea.«La risposta – dice in merito la Bonomi – non è indirizzata a noi, ma al senatore Morra. Il mio passaggio a Trieste – precisa – è una questione a livello nazionale, e nulla c’entra con le polemiche ci Capocolonna. C’è solo una coincidenza temporale, ma nulla di più. Per intenderci non sono stata trasferita perchè sono stata punita. Ma è stata una mia decisione di tornare a casa».In effetti, l’approdo di Simonetta Bonomi a Triste era già nell’area, e lei stessa l’aveva, in qualche modo, preannunciato dopo una delle riunioni svoltesi nella prefettura di Crotone. L’avvicendamento tra Bonomi e Di Gennaro è avvenuto, infatti, nell’ambito della riorganizzazione del ministero per i beni culturali, con la divisione tra tutela e valorizzazione. I trasferimenti, poi, ad un certo punto si sono bloccati per la verifica di alcune posizione di dirigenti che avevano chiesto il trasferimento. «In Calabria – ha detto  la Bonomi ai giornalisti- non potevo più restare, considerato che ho già esaurito due mandati. Non andrò via subito, considerato che adesso – aggiunge la Bonomi – effettuerò le consegne, che di per se sono un fatto piuttosto complesso. Quindi, non so materialemente, ancora, quando prenderò possesso della mia posizione a Padova».La stessa Soprintendenza in Calabria ha vissuto momenti non certo tranquilli, specie negli ultimi tempi. Oltre alla già citata querelle di Capocolonna si ricorderà la polemica sul mancato assenso al trasferimento dei Bronzi di Riace all’Expo di Milano. Restando a Crotone, poi, da sottolineare anche le critiche ricevute dall’ufficio diretto dalla Bonomi per il villaggio Scifo , ma anche ai furiosi contrasti con Comune e Provincia di Crotone per l’utilizzazione del Castello di Carlo V ed il successivo progetto di riqualificazione affidato a Dezzi Bardeschi, fortemente criticato dalle associazioni locali, sia per i costi che per gli stessi contenuti. «Sulla questione del castello di Carlo V – ha detto la soprintendete per la Calabria – il tutto al momento è congelato, in attesa che arrivino ulteriori fondi. Per quanto riguarda l’Antica Kroton anche qui è ancora tutto fermo, considerato che non abbiamo avuto alcuna interlocuzione con la nuova amministrazione regionale, ed il cambio dei dirigenti non ha aiutato a riprendere celermente il dialogo».

MAXI OPERAZIONE “AEMILIA”

aemilia3Maxi operazione dei carabinieri contro la ‘ndrangheta cutrese in Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto, Calabria e Sicilia. Migliaia i carabinieri impiegati. Centodiciassette gli arresti disposti dalla magistratura di Bologna. Altri 46 provvedimenti sono stati emessi dalle procure di Catanzaro e Brescia, per un totale di oltre 160 arresti. L’inchiesta sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in Emilia Romagna ed in altre regioni nell’ambito della quale è in corso l’operazione dei carabinieri coordinata dalla Dda di Bologna ha portato in Calabria al fermo di 37 persone. A gestire le attività illecite emerse dall’inchiesta sarebbe stata, secondo l’accusa, la cosca Grande Aracri di Cutro (Crotone). Ci sono anche i fratelli del boss già detenuto Nicolino Grande Aracri, Domenico ed Ernesto, tra le persone coinvolte nell’operazione contro la ‘ndrangheta condotta dai carabinieri e coordinata dalle Dda di Bologna e Catanzaro. Domenico Grande Aracri, che è un avvocato penalista, è stato arrestato in esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa su richiesta della Dda di Bologna, mentre Ernesto Grande Aracri è uno dei destinatari dei 37 provvedimenti di fermo emessi dalla Dda di Catanzaro. Dall’inchiesta, secondo quanto si è appreso, è emersa la diffusione capillare in Emilia Romagna, ed in parte della Lombardia e del Veneto, delle attività della cosca di ‘ndrangheta dei Grande Aracri, sotto il diretto controllo e la guida di Nicolino Grande Aracri, con infiltrazioni in molteplici settori economici ed imprenditoriali. La maggior parte degli arresti, dispsoti con misura cautelare richiesta dal sostituto procuratore della Dda di Bologna Marco Mescolini e firmata dal gip Alberto Ziroldi, sono stati eseguiti nella provincia di Reggio Emilia, dove è presente la cosca Grande Aracri, della ‘ndrangheta di Cutro (Catanzaro). Tra le persone finite in manette figurano diversi imprenditori calabresi, alcuni già noti alle forze dell’ordine, tra cui Nicolino Sarcone, considerato anche da indagini precedenti il reggente della cosca su Reggio Emilia. Sarcone, già condannato in primo grado per associazione mafiosa, è stato recentemente destinatario di una misura di prevenzione patrimoniale che gli aveva bloccato beni per 5 milioni di euro. Il comandante provinciale di Reggio Emilia, colonnello Paolo Zito, presente durante il blitz, ha detto che l’operazione è ancora in corso, rimandando i dettagli alla conferenza stampa a Bologna. A coordinare l’inchiesta, denominata ‘Aemilia’, è stata la procura distrettuale antimafia di Bologna, che ha ottenuto dal gip un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 117 persone ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, porto e detenzione illegali di armi, intestazione fittizia di beni, reimpiego di capitali di illecita provenienza, emissione di fatture per operazioni inesistenti ed altro. Tutti reati commessi con l’aggravante di aver favorito l’attività dell’associazione mafiosa. Contestualmente, le procure di Catanzaro e Brescia – in inchieste collegate – hanno emesso altri 46 provvedimenti di fermo per gli stessi reati.

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mponente lo schieramento dei carabinieri impiegati, anche con l’ausilio di elicotteri, in arresti e perquisizioni. In Emilia, sottolineano gli investigatori, la ‘ndrangheta ha assunto una nuova veste, colloquiando con gli imprenditori locali. C’è anche un consigliere comunale di Reggio Emilia Giuseppe Pagliani (Forza Italia) tra gli arrestati nella maxi operazione.
Il Gip: «Un gruppo con autonoma forza di intimidazione».
L’inchiesta della Dda di Bologna ha smantellato un «gruppo unitario emiliano portatore di autonoma e localizzata forza di intimidazione derivante dalla percezione, sia all’interno che all’esterno del gruppo stesso, dell’esistenza e operatività dell’associazione nell’intero territorio emiliano come un grande ed unico gruppo ‘ndranghetistico con suo epicentro in Reggio Emilia (anche quale propaggine della ‘locale’ di riferimento di Cutro)». E’ quanto scrive il Gip di Bologna, Alberto Ziroldi, nell’ordinanza di custodia cautelare per l’inchiesta Aemilia. Il gruppo sarebbe «autore di innumerevoli reati, atti di violenza e di intimidazione – si legge nell’ordinanza – sovente rivendicati come propri nei modi più diversi». Per gli investigatori sarebbero Nicolino Sarcone, Alfonso Diletto, Antonio Gualtieri, Francesco Lamanna, Michele Bolognino e Romolo Villirillo ad aver «promosso, diretto ed organizzato il sodalizio», cioè l’associazione a delinquere di tipo mafioso, «avendo il ruolo di promotori, capi e organizzatori». Un’operazione antimafia definita “storica” per il nord Italia, con oltre 160 arresti, 200 indagati, 189 capi di imputazione, con il coinvolgimento di politici, imprenditori, forze dell’ordine e giornalisti. Beni per 100 milioni, tra cui un intero quartiere di un comune del Parmense, sono stati sequestrati. La Dda di Bologna e i carabinieri hanno sgominato, in collaborazione con le procure di Catanzaro e Brescia, la “mafia imprenditrice”. E’ questa “la novità dell’indagine”, ha detto il procuratore di Bologna, Roberto Alfonso. L’operazione è per il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, “storica, senza precedenti. Imponente e decisiva per il contrasto giudiziario alla mafia al nord”. L’importanza dell’inchiesta, condotta in Emilia dal procuratore Alfonso e dal pm Marco Mescolini, non è solo nei numeri. Per Roberti segna “un momento di svolta nell’azione di contrasto alle cosche ‘ndranghetiste nel centro nord”, perché dopo anni di indagine “c’è stata una crescita comune di esperienze. Abbiamo raggiunto un livello di capacità investigativa che prima non c’era”. Al vertice del gruppo criminale, per i magistrati, sono in sei: Nicolino Sarcone, Michele Bolognino, Alfonso Diletto, Francesco Lamanna, Antonio Gualtieri e Romolo Villirillo, uomini alla guida della “propaggine emiliana” della cosca Grande Aracri di Cutro. Avrebbero gestito l’associazione mafiosa “nell’intero territorio emiliano come un grande ed unico gruppo ‘ndranghetistico con suo epicentro in Reggio Emilia”, ha scritto il Gip Alberto Ziroldi. Dall’indagine, ribattezzata ‘Aemilia’, sono emersi tentativi di influenzare elezioni amministrative in vari comuni: a Parma nel 2007 e nel 2012, a Salsomaggiore nel 2006, Sala Baganza nel 2011, Bibbiano e Brescello nel 2009. Coinvolti diversi politici: il consigliere comunale di Forza Italia a Reggio Emilia, Giuseppe Pagliani, arrestato, e l’ex assessore Pdl di Parma, Giovanni Paolo Bernini, indagati per concorso esterno, così come l’imprenditore Augusto Bianchini, il giornalista Marco Gibertini e Roberta Tattini, consulente bancario e finanziario. Agli arresti anche Giuseppe Iaquinta, padre del calciatore Vincenzo campione del mondo, imprenditore come Bianchini, che ha lavorato nello smaltimento delle macerie del sisma e nella ricostruzione. Il terremoto del 2012 – sul quale non sono mancate, come a L’Aquila, risate intercettate – è stato obiettivo delle cosche. Che sarebbero arrivate anche a coinvolgere nei propri affari rappresentanti delle forze dell’ordine, sette tra poliziotti e carabinieri. Tra questi c’è l’ex autista del Questore di Reggio Emilia, Domenico Mesiano, che avrebbe fatto pressioni, senza esito, su una giornalista del Resto del Carlino, Sabrina Pignedoli, per non pubblicare notizie. E se una cronista è stata minacciata, un altro è stato arrestato per concorso esterno: Marco Gibertini, che si era messo a disposizione di Nicolino Sarcone per interviste in tv e su un quotidiano. Gli accertamenti hanno svelato insomma una fitta rete di legami tra l’Emilia e la Calabria. E anche per comprendere meglio la natura di queste relazioni nel 2012 fu sentito dalla Dda come persona informata sui fatti il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, ex sindaco a Reggio Emilia: “Volevamo capire in che tipo di considerazione la società di Reggio Emilia teneva la comunità cutrese”, ha chiarito il procuratore Alfonso, aggiungendo che oltre a Delrio furono sentiti altri politici. Oggi sono arrivati gli arresti, a breve si andrà nei Tribunali. E c’è già qualcuno tra gli investigatori che è preoccupato per la gestione della mole di imputati e legali in strutture inadeguate a contenere numeri record, almeno per l’Emilia. In Lombardia, intanto, la procura di Brescia ha indagato il sindaco di Mantova, Nicola Sodano, che si dice ”serenissimo”, e l’ex potente senatore reggiano, il Dc Franco Bonferroni; in Calabria, ci sono stati 37 fermi che hanno coinvolto i Grande Aracri e hanno mostrato la capacità della cosca di influenzare i processi e di avvicinare un giudice della Cassazione. Risate sul terremoto. Come all’Aquila, così in Emilia. Erano le 13.29 del 29 maggio 2012, il giorno del secondo sisma, poche ore dopo la violentissima scossa delle 9.03. Questa volta a scherzare sui crolli non sono due imprenditori come in Abruzzo, ma due personaggi vicini alla cosca Grande Aracri, Gaetano Blasco e Antonio Valerio. “E’ caduto un capannone a Mirandola”, dice il primo, in una telefona intercettata e riportata nell’ordinanza dell’operazione Aemilia. Valerio ridendo, annotano gli investigatori, risponde: “eh, allora lavoriamo là…” E Blasco: “ah sì, cominciamo, facciamo il giro…”. E’ il segnale, per il Gip Alberto Ziroldi, che “la ‘Ndrangheta arriva prima dei soccorsi, o comunque in contemporanea”. Blasco, “sicuramente organico alla cellula criminale emiliana”, e Valerio, “costantemente coinvolto in illecite attività economiche”, sono indicati tra gli organizzatori dell’associazione a delinquere di tipo mafioso capeggiata a Reggio Emilia da Nicolino Sarcone. I due avevano “contatti e rapporti d’affari” con la Bianchini Costruzioni, azienda coinvolta nell’indagine, con il patron Augusto tra gli arrestati, accusato di concorso esterno all’associazione. A riguardo il giudice scrive che le indagini hanno “permesso di ricostruire con chiarezza il perimetro soggettivo all’interno del quale ha avuto luogo l’infiltrazione criminale”. Che “si è prevalentemente realizzata attraverso una perversa joint venture tra l’impresa Bianchini Costruzioni srl di San Felice sul Panaro (Modena) ed uno dei principali esponenti della consorteria investigata”, cioè Michele Bolognino, uno dei leader del gruppo. Ma oltre ai rapporti tra ‘Ndrangheta e imprese, ad emergere dalle carte ci sono i legami con la politica. C’è la cena, del 21 marzo 2012, al ristorante ‘Antichi Sapori’ di Reggio Emilia. Per dirla con il procuratore Roberto Alfonso lì “si consacrò e si definì l’accordo tra la politica e l’organizzazione mafiosa”. Alla serata parteciparono l’allora capogruppo Pdl in Provincia, oggi consigliere comunale di Fi, Giuseppe Pagliani, anche lui tra gli arrestati, Nicolino e Gianluigi Sarcone, Alfonso Diletto, Alfonso Paolini e Giuseppe Iaquinta. Qualche giorno prima c’era stato un dialogo telefonico, ritenuto significativo, tra Paolini, uomo di riferimento per Sarcone, e il consigliere: “Giuseppe ti dico sono gente che… i voti ti porteranno in cielo… guarda… però devi essere tu a consigliare e dire quello che bisogna fare…”, diceva Paolini. Secondo le indagini il politico il 21 marzo promise sostegno ai calabresi che si dicevano perseguitati dalle interdittive del prefetto di Reggio Emilia. In cambio, Pagliani avrebbe ricevuto il sostegno alla sua battaglia politica di contrapposizione alla presidente della Provincia, Sonia Masini, e ad altri personaggi pubblici schierati apertamente a sostegno del prefetto. “Non vogliono usare altre linee, vogliono usare il partito, proprio il… il Pdl per andare contro la Masini, contro la Sinistra”, raccontava Pagliani alla fidanzata, al termine della serata. L’inchiesta sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in Emilia Romagna ed in altre regioni nell’ambito  ha portato in Calabria al fermo di 37 persone. A gestire le attività illecite emerse dall’inchiesta era, secondo l’accusa, la cosca Grande Aracri di Cutro (Crotone). I provvedimenti di fermo vengono eseguiti dai Comandi provinciali dei carabinieri di Crotone e Catanzaro. Nel capoluogo calabrese, alle 11, nella sede del Comando Legione dell’ Arma, avrà luogo una conferenza stampa per illustrare i risultati in Calabria dell’operazione.Ci sono anche i fratelli del boss già detenuto Nicolino Grande Aracri, Domenico ed Ernesto, tra le persone coinvolte nell’operazione contro la ‘ndrangheta condotta dai carabinieri e coordinata dalle Dda di Bologna e Catanzaro. Domenico Grande Aracri, che è un avvocato penalista, è stato arrestato in esecuzione di una delle 117 ordinanze di custodia cautelare emesse su richiesta della Dda di Bologna, mentre Ernesto Grande Aracri è uno dei destinatari dei 37 provvedimenti di fermo emessi dalla Dda di Catanzaro. Dall’inchiesta, secondo quanto si è appreso, è emersa la diffusione capillare in Emilia Romagna, ed in parte della Lombardia e del Veneto, delle attività della cosca di ‘ndrangheta dei Grande Aracri, sotto il diretto controllo e la guida di Nicolino Grande Aracri, con infiltrazioni in molteplici settori economici ed imprenditoriali.

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La maggior parte degli arresti, eseguiti su misura cautelare richiesta dal sostituto procuratore della Dda di Bologna Marco Mescolini e firmata dal gip Alberto Ziroldi, sono stati eseguiti nella provincia di Reggio Emilia, dove è presente la cosca Grande Aracri, della ‘ndrangheta di Cutro (Catanzaro). Tra le persone finite in manette figurano diversi imprenditori calabresi, alcuni già noti alle forze dell’ordine, tra cui Nicolino Sarcone, considerato anche da indagini precedenti il reggente della cosca su Reggio Emilia. Sarcone, già condannato in primo grado per associazione mafiosa, è stato recentemente destinatario di una misura di prevenzione patrimoniale che gli aveva bloccato beni per 5 milioni di euro.  I provvedimenti sono stati eseguiti dai carabinieri dei Comandi provinciali di Crotone e Catanzaro ed uno dalla Dia. I fermi giungono a conclusione di un’indagine che è stata coordinata dai magistrati Giovanni Bombardieri, Vincenzo Capomolla, Domenico Guarascio e Salvatore Curcio.
«Attraverso alcuni professionisti, la cosca di Cutro dimostra di avere entrature nei vertici giudiziari ed ecclesiastici a Roma». Lo ha detto il procuratore di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo. Nel provvedimento di fermo [LEGGI ARTICOLO] si fa riferimento ad un monsignore contattato per fare ottenere al genero del presunto boss Nicolino Grande Aracri, Giovanni Abramo, detenuto per omicidio, il trasferimento in un carcere calabrese. Trasferimento poi non effettuato. Il religioso, ha aggiunto Lombardo, non è indagato. A fare da tramite tra la famiglia Grande Aracri ed il monsignore Maurizio Costantini, della Diocesi di Roma, secondo quanto riportato nel decreto di fermo di oltre mille pagine firmato dal procuratore aggiunto di Catanzaro Giovanni Bombardieri, e dai pm della Dda Vincenzo Capomolla e Domenico Guarascio, sarebbe stata una «giornalista residente a Roma», Grazia Veloce – che non è indagata – «di fatto ben conosciuta negli ambienti del Vaticano» e «asseritamente molto vicina a personalità di rilievo del Vaticano e della politica italiana». La donna – scrivono i pm – «si è preoccupata in più occasioni delle sorti giudiziarie di Nicolino Grande Aracri e del genero Giovanni Abramo, presentando loro come luminare in giurisprudenza tale Benedetto Giovanni Stranieri», avvocato originario del leccese residente a Roma che figura tra le persone sottoposte a fermo con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Il provvedimento è stato eseguito da personale della Direzione investigativa antimafia che, evidentemente, già lo stava controllando. «La piena consapevolezza da parte di Veloce Grazia di agire in favore di un sodalizio criminale di tipo mafioso – è scritto nel decreto di fermo della Dda catanzarese – emerge chiaramente dai contenuti di molte conversazioni di cui la stessa è protagonista e che saranno sviluppate in altra sede non risultando destinataria del presente provvedimento. In questa sede il ruolo di Veloce Grazia assume estremo rilievo in quanto, in ragione dei suoi rapporti con istituzioni massoniche e cavalierati vari, pure strettamente collegati con ambienti del Vaticano, presenta a Nicolino Grande Aracri ed ai suoi sodali Benedetto Stranieri quale ‘avvocato’ capace di risolvere alcuni problemi giudiziari che riguardano in quel momento una delle posizioni di vertice della cosca ed in particolare il genero dello stesso Nicolino Grande Aracri, Abramo Giovanni, soggetto, peraltro in quel momento detenuto ed in cui favore la stessa Veloce attiva tutti i suoi contatti in Vaticano per il suo trasferimento in altro Istituto carcerario».

L’episodio del tentativo di avvicinamento di un giudice di Cassazione.
La cosca di Cutro sarebbe riuscita, grazie all’avvocato del foro di Roma Benedetto Giovanni Stranieri – sottoposto a fermo per concorso esterno in associazione mafiosa – ad avvicinare un giudice di Cassazione e a fare annullare con rinvio una sentenza di condanna a carico del genero del boss. Lo ha detto il sempre il procuratore di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo, aggiungendo che il magistrato non è stato identificato e che non ci sono prove certe sul suo effettivo intervento sulla Corte. «A partire dal mese di gennaio 2013 – è scritto nel provvedimento di fermo eseguito dai carabinieri dei Comandi provinciali di Crotone e Catanzaro nei confronti di 37 persone tra le quali l’avvocato Stranieri – l’interesse di Grande Aracri si sposta verso il ‘ricorso in Cassazione’ contro la condanna che ha riguardato il genero Abramo Giovanni” per l’omicidio del boss Antonio Dragone, compiuto il 10 maggio del 2004 a Cutro. Effettivamente – prosegue il provvedimento – il 6 marzo 2013 la Suprema corte aveva annullato la sentenza impugnata per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di Assise di Appello di Catanzaro e il 15 marzo 2013 Abramo Giovanni era stato scarcerato». «Non ci sono elementi – ha detto Lombardo – per dire se l’intervento effettivamente c’è stato, ma i diretti interessati, intercettati, affermano di sì e chiedono il pagamento di una somma di denaro per il servigio reso».
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Eseguiti tutti i provvedimento di fermo.
Il procuratore di Catanzaro, Vincenzo Antonio Lombardo, ha inoltre sottolineato come tutti i fermi siano stati eseguiti. «Spesso si parla di talpe – ha detto – ma oggi abbiamo bloccato tutti quelli che dovevamo. Il coordinamento tra Catanzaro, Bologna e Brescia ha funzionato appieno ed il grande merito è stato investigare senza che trapelasse niente. Lo Stato è attrezzato a combattere il crimine organizzato». Alla conferenza stampa hanno partecipato anche il magistrato della Procura nazionale antimafia Leonida Primicerio e i comandanti provinciali dei carabinieri di Crotone e Catanzaro, Francesco Iacono e Ugo Cantoni; dei rispettivi Reparti operativi, Domenico Menna e Alceo Greco; della Compagnia di Crotone, Antonio Mancini, ed il capo della sezione di Catanzaro della Dia Antonio Turi.

I fermati sono:
Giovanni Abramo, di 39 anni, di Crotone;
Francesco Aiello (58), di Cutro;
Pasquale Arena (58), soprannominato “Nasca”, di Isola di Capo Rizzuto;
Giuseppe Caccia (47), chiamato anche “Peppe”, di Cutro;
Giuseppe Celi (38), di Catanzaro;
Antonio Colacino (35), di Catanzaro;
Giuseppe Colacino (62), soprannominato “Shampoo”;
Roberto Corapi (55), di Catanzaro;
Dario Cristofaro (53), di Catanzaro;
Michele Diletto (29), soprannominato “Michele U’ Riepolo”, di Crotone;
Pasquale Diletto (36), soprannominato “Pasquale U’ Riepolo”;
Salvatore Diletto (25), soprannominato “Salvatore U’ Riepolo”;
Giovanni Frontera (41), soprannominato “Giovanni A’ Lastra”;
Francesco Gentile (56), chiamato anche “Franco”, di Isola di Capo Rizzuto;
Ernesto Grande Aracri (45), alias “Raffaele” soprannominato “U’ Massaru”, di Crotone;
Salvatore Gerace (46), soprannominato “U’ Tipografo”, di Cutro;
Domenico Lazzarini (64), chiamato anche “Mico” o soprannominato “Pinocchio”, di Petronà;
Giuseppe Lequoque (71), soprannominato “Peppe Cannuni”, di Isola Di Capo Rizzuto;
Santo Maesano (57), di Isola Capo Rizzuto, residente a Borgo Tossignano (Bologna);
Antonio Maletta (36), di Catanzaro;
Albano Mannolo (45), di Cutro;
Leonardo Mannolo (27), di Crotone;
Francesco Mauro (52), soprannominato “Cinese”, di Petilia Policastro;
Matteo Mazzocca (29), di Catanzaro;
Gennaro Mellea (38), alias “Piero”, di Catanzaro;
Giuseppe Migale Ranieri (37), di Cutro;
Domenico Nicoscia (53), soprannominato “Mimmo Macchietta”, di Isola Capo Rizzuto;
Antonio Riillo (32), di Isola Capo Rizzuto;
Carmine Riillo (28), di Crotone;
Carmine Riillo (38), di Crotone;
Domenico Riillo (56), soprannominato “U’ Trentino”, di Isola Capo Rizzuto;
Giuseppe Riillo (34), di Crotone;
Alfonso Pietro Salerno (60), chiamato anche “Fronzo”, di Cutro;
Antonio Salerno (35), di Crotone;
Salvatore Scarpino (50), chiamato anche “Turuzzo”, di Cutro;
Alex Scicchitano (29), nato in Brasile e residente a Catanzaro;
Benedetto Giovanni Stranieri (52), di Salve (Lecce), residente a Roma.

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Tra le carte dell’indagine ‘Aemilia’ contro la ‘ndrangheta, c’è una cena a cui avrebbe partecipato Giuseppe Pagliani, consigliere comunale di Forza Italia a Reggio Emilia, raggiunto oggi da ordinanza di custodia in carcere. L’incontro, secondo quanto ricostruito nell’inchiesta, sarebbe avvenuto in un ristorante della periferia della città emiliana, il 21 marzo 2012. Alla riunione avrebbero partecipato, oltre a Pagliani, elementi come Nicolino e Gianluigi Sarcone, Alfonso Diletto, Alfonso Paolini e Giuseppe Iaquinta. Per dirla con il procuratore di Bologna Roberto Alfonso fu l’occasione in cui «si consacrò e si definì l’accordo tra la politica e l’organizzazione mafiosa». Secondo gli investigatori Pagliani, all’epoca capogruppo Pdl in consiglio provinciale, promise sostegno alle rivendicazioni di chi lamentava ‘persecuzioni’ ad opera del prefetto di Reggio Emilia e discriminazioni nei confronti della comunità calabrese. In cambio avrebbe ricevuto il sostegno alla sua battaglia politica di contrapposizione alla presidente della Provincia, Sonia Masini e altri personaggi pubblicI schierati apertamente a sostegno del prefettoDalle indagini dell’inchiesta “Aemilia” condotta dalla Dda di Bologna (che ha portato ad arresti al Nord e anche in Calabria) sarebbe emersa l’attività dell’associazione criminale riconducibile al clan dei “Grande Aracri” perpetrata secondo una pervasiva infiltrazione nel tessuto economico e imprenditoriale nei settori dell’edilizia, dei trasporti, del movimento terra e dello smaltimento dei rifiuti. L’attività criminale, che avrebbe quindi avuto stretti legami col territorio d’origine in Calabria, si sarebbe concretizzata in una sistematica pressione estorsiva esercitata nei confronti di imprenditori locali. In particolare, nella fase di esecuzione delle opere, la scelta di subappaltatori e fornitori sarebbe stata indotta fra quelli vicini all’organizzazione criminale. Dall’inchiesta è poi emerso, inoltre, che i proventi illeciti delle ramificazioni in terra emiliana venivano in parte trasferiti alla cosca crotonese, mediante il ricorso a false fatturazioni di operazioni inesistenti e messe in opera dalle società calabresi riconducibili ai “Grande Aracri”. Una parte di questi proventi sarebbe stata reimpiegata nell’erogazione di prestiti a tassi usurari a imprenditori, oppure nell’avvio di consistenti iniziative immobiliari intestate a prestanome nelle province di Mantova e Parma. Tra le attività criminali della stessa accolita ‘ndranghetistica, figurerebbe la ricettazione di imbarcazioni di lusso del valore di svariati milioni di euro che sarebbero poi state reimmesse nei mercati nautici di Turchia e Croazia. L’organizzazione avrebbe quindi tentato di evitare le verifiche antimafia della Prefettura di Reggio Emilia attraverso una serie di iniziative mediatiche avviate dal consigliere comunale di Forza Italia della Provincia reggiana Giuseppe Pagliani, destinatario dell’ordinanza che lo accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. L’operazione dei carabinieri del comando di Reggio Emilia si è concentrata soprattutto nelle province di Reggio Emilia e Modena. Arresti e perquisizioni in corso dalle 3 di questa mattina a Reggio Emilia città, Bibbiano, Montecchio, Brescello, Gualtieri, Reggiolo.

Per la Dda tutto ebbe inizio nel 1982 con l’arrivo di Dragone in Emilia.
«In Emilia non abbiamo locali (cosche di ‘ndrangheta, ndr) come in Lombardia o Piemonte, ma la presenza di un’organizzazione con un contenuto prettamente imprenditoriale» ha sottolineato il procuratore di Bologna, Roberto Alfonso. Per il magistrato la data da cui tutto è partito è il «9 giugno 1982, con l’arrivo di Antonino Dragone, quando viene concepito il gruppo emiliano. Oltre 32 anni nel corso dei quali – ha spiegato ancora – l’associazione si è sviluppata, crescendo come una metastasi nel corpo sano, in quella parte di Emilia che da Reggio, passando per Parma e Piacenza, giunge fino a alla riva lombarda del Po. Si è prima insediata, strutturata nel territorio, quindi infiltrata nei settori dell’economia, soprattutto dell’edilizia».

Dalle indagini emergono tentativi d’influenza sul voto.
Dall’indagine ‘Aemilia’ emergono riscontri di attività di supporto e tentativi di influenzare elezioni amministrative da parte degli affiliati al gruppo criminale in vari comuni dell’Emilia. È sempre il procuratore Roberto Alfonso, nella conferenza stampa a Bologna, citando i casi di Parma nel 2002, Salsomaggiore nel 2005, Sala Baganza nel 2011, Brescello nel 2009. Anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio fu sentito “come persona informata sui fatti” nelle indagini della Dda di Bologna. Lo ha spiegato il procuratore capo di Bologna Roberto Alfonso. Delrio, ex sindaco di Reggio Emilia, fu sentito nel 2012. «Volevamo capire in che tipo di considerazione la società di Reggio Emilia teneva la comunità calabrese» ha detto Alfonso, aggiungendo che oltre a Delrio furono sentiti altri politici reggiani

Secondo il procuratore di Catanzaro, il presunto boss sarebbe a capo di una struttura al di sopra dei singoli “locali” di ‘ndrangheta. Sarebbe diventato il punto di riferimento delle cosche calabresi saldamente insediate al Nord.

Il “locale” di ‘ndrangheta di Cutro (Crotone) stava diventando il punto di riferimento delle cosche del crotonese ed il suo presunto capo, Nicolino Grande Aracri (foto), aveva intenzione di costituire una grande provincia in autonomia a quella reggina. E’ quanto emerge dall’inchiesta coordinata dalla Dda di Catanzaro che stamani ha portato all’esecuzione di 37 fermi in varie regioni e che si inserisce nella più vasta operazione dei carabinieri, coordinata anche dalle Procure distrettuali di Bologna e Brescia, sulle infiltrazioni delle cosche in Emilia Romagna dove era operativa una cellula della ‘ndrina crotonese. «Si tratta – ha spiegato il procuratore di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo – di una operazione importante perché evidenzia il ruolo che stava assumendo Cutro e che non aveva mai avuto». A parlare delle intenzioni di Grande Aracri di costituire una grande provincia di ‘ndrangheta è un collaboratore di giustizia, Giuseppe Giampà, ritenuto un boss della ‘ndrangheta del lametino.

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Dalle indagini è emerso anche come la cosca di Nicolino Grande Aracri, almeno sino al momento del suo arresto, avvenuto nel 2013 per una tentata estorsione ad un villaggio turistico, stesse assumendo il ruolo, essenzialmente, di punto di riferimento delle cosche di tutto il distretto giudiziario di Catanzaro – che comprende anche le province di Crotone, Cosenza e Vibo Valentia – ma con contatti anche con cosche del reggino. «Grande Aracri – ha detto Lombardo – si atteggia a capo di una struttura al di sopra dei singoli locali. E’ sostanzialmente il punto di riferimento anche delle cosche calabresi saldamente insediate in Emilia Romagna dove c’era una cellula dotata di autonomia operativa nei reati fine. I collegamenti tra Emilia Romagna e Calabria erano comunque continui e costanti e non si faceva niente senza che Grande Aracri lo sapesse e desse il consenso». Nel suo ruolo di “direzione”, secondo quanto emerso dalle indagini, Nicolino Grande Aracri avrebbe avuto la collaborazione dei suoi fratelli, Domenico ed Ernesto, di fatto suoi emissari.

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ADRIANA MUSELLA DENUNCIA: SISTEMA MARCIO

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Adriana Musella ha annunciato, martedì 27 gennaio, le proprie dimissioni dalla presidenza del coordinamento antimafia Riferimenti. “In Calabria – ha sostenuto – l’antimafia non ha interlocutori. Sono state perfettamente inutili le regionali anticipate perché la situazione non é affatto cambiata, come noi tutti speravamo”. “Allieva di Antonino Caponnetto e figlia di Gennaro Musella, vittima di mafia – è scritto in una nota – la Musella da 22 anni porta avanti la sua battaglia contro la sopraffazione mafiosa. Non ha mai voluto lasciare la Calabria, terra dove suo padre e’ stato fatto saltare in aria il 3 maggio 1982. Lei, che calabrese non è, è rimasta e ha sfidato la ‘ndrangheta. Vive sotto scorta per le minacce ricevute dal clan Mancuso nelle cui case ha progettato l’Università dell’Antimafia”. “Non e’ una questione di sinistra o destra – ha sostenuto la Musella – ma di sistema marcio che pervade la società politica a 360 gradi. Attualmente la regione è governata da forze massoniche trasversali. Chiedo ufficialmente alla Procura di Reggio Calabria un’indagine approfondita sul voto. Ho votato Pd sperando in un cambiamento in cui ho creduto davvero. Oggi, pero’ non posso esimermi dall’esternare tutta la mia delusione e come me sono in tanti. Chiedo scusa per essermi esposta. Non ho mai preso posizione politica, questa volta l’ho fatto e ho sbagliato. Oggi non lo rifarei”. Secondo Musella, “già dalla formazione delle liste si sono avute le prime avvisaglie. Non preannunciava niente di buono, infatti – afferma – la candidatura nel centro sinistra di alcuni personaggi che fino al giorno prima avevano occupato poltrone nel passato governo regionale di centro destra. Nelle liste ci siamo ritrovati inquisiti o noti parenti o compari cui doveva essere preclusa qualsiasi strada”. Per la Musella, poi, “i segnali dati con l’elezione dei vertici del Consiglio regionale e della minigiunta Oliverio” hanno sfidato “addirittura il lavoro della magistratura. Su quattro assessori, tre sono inquisiti, dell’altra, l’ex ministro Lanzetta, non si comprendono le ragioni della sua nomina. Anche la nomina dell’ex ministro ha lasciato molto disorientati non essendo stata per niente compresa. Se questa donna e’ stata vista come un simbolo antimafia, dobbiamo riconoscere che il suo silenzio ci sorprende. L’antimafia e’ fatta di azioni conseguenziali, non di comodità o di incarichi che in questa Regione non vengono dati per merito”. “Bisogna ammettere – afferma la Musella – che i vari codici etici non sono risultati molto efficaci. Se davvero si volesse essere trasparenti, si dovrebbe negare la candidatura a qualunque persona indagata o rinviata a giudizio, qualunque sia l’accusa.

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Questo vuol dire fare pulizia e mostrarsi seri e credibili, non certo essere giustizialisti”. “Non possiamo accettare – dice ancora l’ex presidente di Riferimenti – le dichiarazioni di Magorno, segretario regionale del Pd, che afferma di ‘ragionare di politica in quanto i problemi di giustizia competono alla magistratura’. Di quale politica stiamo parlando? Una politica evidentemente che non tiene conto del problema ma che come sempre delega. La politica continua, imperterrita, a non ascoltare il grido d’allarme dei magistrati e, nei fatti, si dimostra prnta ‘a sacrificare la giustizia in nome di un esasperato garantismo’. Ci chiediamo perche’ mai la Commissione Antimafia continui a convocare i procuratori della Dda reggina quando i politici continuano a ‘lottizzare’ il potere senza alcuno scrupolo, offrendo poltrone finanche a soggetti sui quali aleggiano fitte ombre e i cui nomi compaiono nelle informative depositate agli atti di inchieste di mafia. Com’è possibile chiedere ai cittadini di rialzare la testa se la politica disconosce alla giustizia il prestigio e l’autorevolezza delle proprie raccomandazioni”. “Sono tre mesi – conclude Adriana Musella – che chiediamo al neo governatore un confronto senza essere stati degnati di una risposta. L’abbiamo invitato nella nostra sede e l’abbiamo atteso invano. L’argomento e’ evidente che non gli interessa e gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. La politica in Calabria si e’ rivelata un grande raccoglitore per nullità ed inquisiti in cerca di un posto al sole e, si sa, questo, a chi comanda, fa gioco per poter fare il proprio comodo”.

GIUNTA REGIONALE: I SI E I NO DELLA LANZETTA

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Il Presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio ha nominato la nuova Giunta regionale. “In coerenza con quanto già annunciato dal presidente Oliverio – informa una nota dell’Ufficio Stampa – la composizione organica e definitiva della Giunta regionale avverrà dopo l’approvazione, in seconda lettura, della riforma statutaria. I primi cento giorni di attività amministrativa saranno affidati ad un esecutivo composto dal consigliere regionale Vincenzo Ciconte, chiamato a svolgere la funzione di vice presidente e assessore delegato al Bilancio, Personale e Patrimonio; dal consigliere regionale Carlo Guccione, assessore delegato al Lavoro, Formazione Professionale, Attività Produttive e Politiche Sociali; dalla dottoressa Maria Carmela Lanzetta, assessore delegato alle Riforme Istituzionali e Semplificazione amministrativa, Cultura e Pubblica Istruzione, Pari opportunità e da Antonino De Gaetano, assessore delegato alle Infrastrutture e Trasporti”. “Ovviamente, al momento del completamento, in coerenza con la norma statutaria approvata che prevede la rappresentanza di genere – conclude la nota – la presenza femminile sarà designata in una quota di almeno il 30%. Il presidente Oliverio ha già convocato la prima seduta di Giunta per martedì prossimo, ventisette gennaio, nella sede di palazzo Alemanni.”Ho accettato la proposta del presidente Oliverio di diventare assessore della nuova giunta per poter dare un contributo alla mia Regione in un rilancio politico, civile e istituzionale”. Così il ministro per gli Affari Regionali, Maria Carmela Lanzetta, che ha incontrato nel pomeriggio il presidente del Consiglio Matteo Renzi. “Metterò tutto il mio impegno e la passione nel nuovo incarico – ha proseguito il ministro – in una fase cruciale per le scelte che determineranno il futuro dello sviluppo economico e sociale della Calabria”.”Ringrazio Maria Carmela Lanzetta per il lavoro svolto come ministro e la dedizione del suo impegno al fianco delle istituzioni”. Così il premier Matteo renzi risponde al ministro degli Affari Regionali che si è dimessa per entrare nella giunta calabrese guidata da Mario Oliverio.

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“Sono sicuro che la nuova responsabilità – aggiunge Renzi – sarà occasione di uno scambio sempre più proficuo tra piano nazionale e regionale, in una terra che ha dimostrato una forte voglia di rilancio e cambiamento”. Lo stesso ex Ministro per gli Affari regionali, Maria Carmela Lanzetta, nominata assessore regionale in Calabria, non ha partecipato alla riunione di insediamento dell’esecutivo guidato da Mario Oliverio. Alla riunione della Giunta, cui non era presente la Lanzetta, che ieri ha annunciato le dimissioni da Ministro, oltre al presidente Oliverio, c’erano il vicepresidente Vincenzo Ciconte e gli assessori Nino De Gaetano e Carlo Guccione. “La dottoressa Lanzetta non è qui questa sera – ha detto Oliverio – perché è a Roma per questioni rispetto alle quali era necessaria la sua presenza. La dottoressa Lanzetta ha accolto la nostra proposta di fare parte del governo della regione e, per quanto mi riguarda, ho salutato e saluto positivamente questa disponibilità. Confermo che è stata mia la proposta”. “Ringrazio Maria Carmela Lanzetta per avere accettato e il presidente Matteo Renzi per avere aderito a questa proposta. Dico questo – ha concluso Oliverio – per sgomberare il campo da interpretazioni diverse e da letture che non hanno nessuna rispondenza con la realtà”. Solo a tarda sera di martedì 27 gennaio si apprende che Maria Carmela Lanzetta non farà parte della Giunta regionale della Calabria presieduta da Mario Oliverio del Pd.

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Ad annunciarlo, con una dichiarazione all’ANSA, è stato lo stesso ex ministro degli Affari regionali. Lanzetta spiega la sua decisione con il fatto che “non ci sono le condizioni di chiarezza sulla posizione dell’assessore Nino De Gaetano”.  Proprio su De Gaetano in serata il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, aveva rivolto un messaggio al presidente Oliverio sostenendo che le vicende di voto di scambio di cui al centro lo stesso De Gaetano, anche se quest’ultimo non è indagato, non sono sufficientemente chiarite. “Io presenterò formalmente le dimissioni da ministro – ha detto Maria Carmela Lanzetta nella dichiarazione all’ANSA – venerdì mattina dopo aver presieduto l’osservatorio sulle Regioni e la conferenza Stato-Regioni. Dopo avere parlato con Matteo Renzi e dopo aver approfondito la questione con Graziano Delrio riguardo all’accettazione della mia presenza nella Giunta regionale della Calabria, ringraziando fortemente Mario Oliverio, ho deciso di non fare parte dell’Esecutivo. Non c’è chiarezza sulla posizione di Nino De Gaetano, pur avendolo conosciuto come assessore regionale impegnato nella difesa dei lavoratori precari”.

CONSIGLIO REGIONALE MODIFICHE ALLO STATUTO

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Il Consiglio regionale ha approvato a maggioranza, con l’astensione dei consiglieri di Forza Italia ad eccezione di Domenico Tallini e Fausto Orsomarso, anche loro del Gruppo di Forza Italia, che hanno invece votato contro, la proposta di legge di riforma dello Statuto. Un provvedimento, quello licenziato dall’aula, che affida al Presidente della Giunta la possibilità di nominare sei assessori esterni ed un consigliere delegato. Approvato anche un emendamento all’art. 2 della proposta, presentato dal consigliere Flora Sculco, che impone una quota minima del 30% di presenza femminile nella composizione della Giunta. Sull’emendamento, dai banchi dell’opposizione, ha votato a favore il consigliere Fausto Orsomarso. Eliminata la figura del consigliere supplente, norma peraltro già impugnata dal Governo dopo la precedente modifica dello Statuto. Il presidente della Regione Calabria Mario Oliverio e il presidente del Consiglio regionale Antonio Scalzo, del Pd, per la maggioranza di centrosinistra, e il consigliere regionale Nazzareno Salerno, di Fi, per la minoranza, sono i tre “grandi elettori” che concorreranno all’elezione del capo dello Stato. L’elezione si è svolta nel corso della seduta odierna del Consiglio regionale della Calabria. Alla votazione hanno partecipato tutti i componenti della massima Assemblea regionale. Al termine dello scrutinio il governatore Oliverio ha ottenuto 19 voti ed il presidente Scalzo 18, mentre Salerno ne ha raccolti 10. Un voto è andato al consigliere di Forza Italia Domenico Tallini. Da registrare anche una scheda bianca.Nel prosieguo del dibattito sulla riforma dello Statuto è intervenuto anche Domenico Bevacqua (Pd) che ha proposto una modifica mirata ad introdurre la previsione di una relazione di inizio e fine legislatura per dare continuità al lavoro dei governi. Sinibaldo Esposito (Ncd), nel suo intervento, ha annunciato il voto favorevole del suo gruppo alla proposta di modifica statutaria. Il capogruppo di Fi, Alessandro Nicolò, ha annunciato l’astensione del suo gruppo rispetto alla proposta, richiamando l’attenzione del presidente sulla costituzione delle Commissioni consiliari “per consentire – ha detto – l’avvio di un confronto costruttivo, per quanto possibile condiviso e, soprattutto, scaturente da un percorso democratico”. Enzo Ciconte, del Pd, si è soffermato sull’utilità della modifica dello Statuto propedeutica alla costituzione di un governo regionale di alto profilo. Considerazioni ribadite da Domenico Battaglia (Pd), cofirmatario della proposta, e riprese anche da OLIVERIO

Nicola Irto (Pd), che ha invitato anche ad abbassare i toni ed evitare strumentalizzazioni. Il Consiglio ha concluso i lavori della seduta odierna. All’unanimità è stata approvata la proposta di legge di proroga dei termini relativi alla legge regionale 18/2013 inerente la “Cessazione dello stato di emergenza nel settore dei rifiuti. Disciplina transitoria delle competenze regionali e strumenti operativi”. “Una proroga – ha spiegato il Presidente Oliverio – che serve per recuperare il tempo necessario per costruire una proposta che ci consenta di uscire da questa emergenza, che va avanti dal 1995”. Altra approvazione ha riguardato la proroga dei termini per la definizione dei piani strutturali comunali da parte dei Comuni, previsti dalla legge urbanistica. “Nel corso di questi anni – ha detto Oliverio – nessun comune si è dotato di PSC o PSU. Una riflessione va fatta, quindi, sul merito di questa legge: c’è qualcosa che non va.”. Approvata anche la proposta di legge recante “Modifiche al comma 1 dell’articolo 27 della legge regionale 18/2007 – Norme in materia di usi civici”. Ultimo punto all’ordine del giorno, approvato all’unanimità, è stato l’ordine del giorno proposto dal consigliere Giuseppe Aieta per dire no alla soppressione del Posto fisso della Polizia di Stato nel Comune di Cetraro.

DALL’HAPPENING ALL’INCONTRO CON VALLONE

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Un happening a metà tra manifestazione di protesta e lezione a cielo aperto, in materia di tutela dei beni culturali. E’ stata soprattutto questo la manifestazione promossa oggi pomeriggio nell’area archeologica di Capo Colonna a Crotone dove tanti cittadini si sono ritrovati rispondendo all’appello lanciato dall’hastag #salviamocapocolonna. L’iniziativa è stata organizzata per protestare contro il progetto di Comune e Soprintendenza archeologica della Calabria per la realizzazione di un selciato di fronte al Santuario della Madonna di Capo Colonna, dove nei mesi scorsi sono venuti alla luce manufatti di epoca romana. Ed è proprio l’interramento di quelle tracce di edifici ad essere osteggiato dai tanti che si dividono, incuranti del vento che spazza il promontorio sul mare, tra quanti ascoltano musica di band locali e quanti, invece, seguono in religioso silenzio le spiegazioni dell’archeologa Margherita Corrado sui tesori che questo lembo di terra custodisce. Una visita guidata ad un “museo” che si sviluppa all’ombra della colonna dorica superstite del tempio di Hera Lacinia, che racchiude, come in un libro a cui siano state aggiunte altre pagine, testimonianze di altre epoche successiva a quelle greche. La mobilitazione va avanti da 5 giorni. La zona è presidiata, a rotazione, da un gruppo di cittadini: la notte scorsa erano una cinquantina coloro che hanno “vegliato” su Capo Colonna. E stanotte sarà lo stesso. A spiegare il no ai lavori è la stessa Corrado dell’Associazione Sette Soli che, assieme all’associazione Gettini di Vitalba, ha sollevato il caso. “Contestiamo il fatto – afferma – che si sia decisa, per quanto riguarda l’area antistante la chiesa, una pavimentazione stabile. Il che significa che tra la pavimentazione stessa ed i resti venuti alla luce da settembre a dicembre viene steso un massetto di cemento con rete termosaldata. Noi crediamo che trovandoci nel cuore dell’abitato romano, ed avendo quegli scavi portato alla luce quel che resta del foro, si debba, anche a costo di smontare quello finora realizzato, dare la possibilità a questi resti di essere fruiti dai cittadini”. Sul polverone che si sta levando su Capo Colonna il sindaco di Crotone Vallone è intervenuto con una conferenza stampa. “Il progetto non prevede parcheggi, impensabili da realizzare perché l’area è interdetta al traffico se non in via straordinaria, ma il prolungamento del sagrato della chiesa”. Lo ha detto, appunto,  il sindaco di Crotone, Peppino Vallone, nel corso di una conferenza stampa circa la vicenda dei lavori di “ricerca, conservazione e valorizzazione e archeologica” dell’area prospiciente il santuario di Capo Colonna.
I lavori hanno suscitato numerose polemiche fino al punto che da giorni un gruppo di cittadini presidia il sito in segno di protesta perché contrario alla realizzazione di un piazzale là dove sono stati rinvenuti manufatti di epoca romana attinenti, probabilmente, all’area di un foro.
“Come amministrazione comunale – ha aggiunto – siamo disponibili perché ci sia un incontro al Ministero dei Beni culturali, già tra lunedì e martedì, per discutere eventuali soluzioni alternative al progetto in corso d’opera. L’intervento a Capo Colonna è stato condiviso con tutte gli enti che avevano titolo ad esprimersi: la Soprintendenza archeologica della Calabria, la Regione ed il Comune di Crotone. Con i fondi a disposizione è stata fatta una ricerca archeologica e sono stati rinvenuti resti di una certa importanza. Non c’erano fondi sufficienti per valorizzarli diversamente, ma, con la Soprintendenza, si è preferito assicurare la loro perfetta conservazione realizzando un sagrato che riprodurrà anche una copia del porticato rinvenuto. Ciò preserva i reperti e lascia aperta la possibilità di riportare alla luce, quando ci saranno fondi sufficienti, trovando i reperti perfettamente conservati”.

capo1“Con questo progetto – ha aggiunto il sindaco di Crotone – si è puntato invece alla valorizzazione di un altro reperto archeologico: un mosaico scoperto già da diversi decenni. Non piace la copertura prevista sul mosaico? Tutti sappiamo bene che Capo Colonna è esposta alle intemperie ed i tecnici hanno valutato che occorresse una soluzione che garantisse maggiore protezione”. Quanto alla protesta di questi giorni, il sindaco Vallone ha aggiunto che essa “nasce dalla difficoltà che ha la politica a parlare con la gente, ma se questo può servire ad attrarre per Capo Colonna ulteriori risorse per valorizzare quel sito, che ben venga”. A difesa del sindaco Vallone si leva la voce del parlamentare del PD, Nicodemo Oliverio.”Ci sentiamo di consigliare a chi ricopre importanti e alti livelli istituzionali, maggiore prudenza nell’esprimere giudizi che appaiono frettolosi e privi di qualsiasi fondamento. Nel nostro impegno parlamentare, garantiremo la massima vigilanza affinché sia sempre tutelato e garantito il patrimonio archeologico calabrese, in particolare quello di Capo Colonna, che senza dubbio rappresenta il cuore e le radici della nostra storia”. Lo afferma, in una nota, il deputato del Pd, Nicodemo Oliverio. “Non appena a conoscenza della vicenda dei lavori della Soprintendenza presso l’Area archeologica di Capo Colonna – prosegue Oliverio – abbiamo interessato il Ministero dei Beni culturali, affinché venisse verificato l’iter relativo ai lavori. Il ministero si è immediatamente mosso per effettuare ogni verifica di sua competenza”. “Abbiamo appreso notizia – sostiene il parlamentare – dell’intervento della Soprintendenza regionale che si è assunta ogni responsabilità e ha fornito tutte le garanzie in merito alla salvaguardia del patrimonio archeologico dell’Area interessata di Capo Colonna. Siamo altresì convinti della serietà dell’azione amministrativa del sindaco Vallone e della giunta comunale di Crotone, che hanno sempre agito a difesa del patrimonio storico e architettonico del territorio. E di questo ne sono personalmente testimone. Mentre nessuna responsabilità gli si può addebitare nel merito dei lavori di Capo Colonna”. Come annunciato nella mattinata di domenica 18 gennaio il Ministro Maria Carmela Lanzetta effettua un sopralluogo sul sito archeologico”Nessuno di noi è perfetto, ma come cittadina e come ministra ho il diritto-dovere, secondo la mia coscienza e le mie convinzioni in fatto di Beni Culturali (per i quali, come ho avuto modo di dire varie volte, io proporrei lo studio della Storia dell’Arte fin dalla scuole elementari e in tutte le Scuole, comprese quelle tecniche), il diritto-dovere, dicevo, di intervenire per contestare una soluzione cementificatoria che ha tutti i crismi della inadeguatezza”. Lo afferma in una nota il Ministro degli affari regionali, Maria Carmela Lanzetta, replicando al deputato del Pd, Nicodemo Oliverio, circa le polemiche sui lavori al sito archeologico di Capo Colonna. “Non abbiamo dubbi – aggiunge – che l’on. Nicodemo Oliverio si sia attivato per conoscere l’iter dei lavori nell’area archeologica di Capocolonna, rassicurato dalle “garanzie” della Sovrintendenza; però vorremmo far presente che le “assicurazioni” di vari Enti non certificano e garantiscono la Bellezza di un’opera di salvaguardia; a maggior ragione quando si tratta di una colata di cemento che tenderà a modificare, in modo irrevocabile, il “senso dei luoghi”, qualsiasi possano essere le giustificazioni; e di esempi in Italia ne abbiamo, purtroppo, a centinaia. E quindi chiedo: si può intervenire con questa invasività senza dare spiegazioni preventive ai cittadini? Si può pensare che i cittadini possano far finta di nulla di fronte ad un intervento così inadeguato? Senza gli interventi delle Associazioni ambientaliste, i Beni Culturali italiani sarebbero stati distrutti, soprattutto dal secondo dopoguerra in poi. Vogliamo ricordare, per esempio, che l’Italia si è dotata di un Ministero per i Beni Culturali solo negli anni 80?”. “Nel mentre – conclude – ringrazio per i consigli ad essere “prudente”, mi permetto anch’io di consigliare, a chi ricopre un importante ruolo parlamentare, due cose molto semplici: di ascoltare sempre anche quello che hanno da dire i cittadini che contestano una scelta calata dall’alto, perché essi non vanno considerati solo macchine da voto nei periodi elettorali; di intervenire sempre e comunque a difesa dei Beni Culturali, manifestando più “prudenza” nella difesa dei “mercanti nel tempio”. E mentre accade tutto ciò cresce l’attesa per l’incontro che il Prefetto Vincenzo De Vivo ha convocato in prefettura. Un lungo incontro, durato oltre tre ore. Al tavolo, la delegazione del comitato “Salviamocapocolonna” (composta da Andrea Correggia, Procolo Guida), le associazioni Gettini di Vitalba e Sette Soli rappresentate da Linda Monte e dall’archeologa Margherita Corrado,l’architetto Dominijanni per il Comune di Crotone, Maria Grazia Aisa e Simonetta Bonomi per la Sovrintendenza ai beni archeologici. Al termine la delegazione del comitato “Salviamocapocolonna” non ha rilasciato alcuna dichiarazione, così come promesso ai propri membri. L’unica a parlare è la dottoressa Bonomi, Sovrintendente Regionale ai beni archeologici, che dopo qualche insistenza da parte dei giornalisti, comunica il nulla di fatto poiché tutti restano fermi sulle proprie posizioni.Riferendosi al fermo dei lavori la Bonomi ha sostenuto che la sospensione è da imputare a motivi di sicurezza, e che non riprenderanno se non verrà rimosso il presidio del comitato. Sulla tombazione del foro ha invece sostenuto:  “abbiamo pensato a soluzioni alternative, tenendo presente il luogo le circostanze e i dati oggettivi, abbiamo ritenuto che per garantire la buona conservazione del sito dovessimo coprirlo e metterlo al riparo dall’erosione del calpestio e degli agenti atmosferici, abbiamo proseguito con l’idea della piazza e sulla pavimentazione della piazza riporteremo il disegno della pianta dell’edificio ritrovato”. Fermi sulle proprie posizioni quindi i rappresentati della Sovrintendenza, con l’unica variante al progetto che prevede un disegno sulla pavimentazione ma non il ripensamento dell’intero progetto, punto nevralgico delle richieste del comitato.Nel lasciare i giornalisti ha poi dichiarato che lascerà la direzione della soprintendenza:“giovedì c’è l’interpello, vi saluto, avrete un altro sovrintendente, spero che vi piaccia di più, che vi troviate meglio, che lavori di più e meglio di quello che ho fatto io in cinque anni e mezzo”; alla domanda “quindi da giovedì lei si dimetterà?” “No, non mi dimetto, presento altre candidature. Da parte loro i manifestanti annunciano che non intendono lasciare il presidio se non dopo aver ottenuto la sospensione dei lavori. E, dopo i parlamentari pentastellati anche quelli del Pd presentano una interrogazione al Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini sulla vicenda dei lavori che stanno interessando il sito archeologico di Capo Colonna a Crotone. Prima firmataria Enza Bruno Bossio, insieme a Franco Bruno, Bruno Censore, Alfredo D’Attorre e Nico Stumpo, c’è anche la firma del predecessore di Franceschini al Ministero dei Beni Culturali, Massimo Bray. I deputati chiedono al Ministro di “attivare efficaci e tempestive iniziative per verificare quanto sta accadendo con lo svolgimento di lavori di recupero e di protezione previsti in sede di Accordo di Programma Quadro tra il Ministero dei Beni Culturali e la Regione e affidati come soggetto attuatore alla Soprintendenza Archeologica della Calabria. A destare la preoccupazione dei parlamentari non ci sono soltanto le forti polemiche emerse in questi giorni da parte di associazioni culturali ed ambientaliste, esponenti istituzionali e forze intellettuali ma anche il fatto che, proprio a ridosso del sito archeologico e in piena area marina protetta, in località Scifo, si sta realizzando un mega villaggio turistico che occuperà circa 74 mila metri quadri”. “Con la nostra iniziativa parlamentare – ha dichiarato Enza Bruno Bossio – abbiamo inteso sollecitare una attenzione da parte del Ministero affinché si attivi un attento monitoraggio in riferimento alle problematiche sollevate dalla protesta che si è manifestata in questi giorni affinché si possa prevenire ogni possibile danno al parco archeologico e accertarsi si realizzino, invece, adeguate opere di tutela, valorizzazione e fruibilità del sito e di ogni bene di pregio storico-culturale ivi rinvenuto. Intendiamo così sollecitare una verifica sull’appropriatezza della qualità tecnica degli interventi. Infine, a proposito della realizzazione del mega villaggio, la verifica deve riguardare innanzitutto il rispetto delle norme vigenti in relazione alle autorizzazioni per l’insediamento in quel sito di una struttura di quella tipologia. “I beni archeologici vanno tutelati e quello che è successo a Capo Colonna rappresenta un chiaro segnale di come i cittadini calabresi non dormano, e quando si accorgono che potrebbe essere messo in atto un tentativo di deturpamento di un’area d’interesse storico culturale unica nel suo genere come quella di Crotone, alzano la voce e se necessario anche le barricate”. Lo afferma, in una dichiarazione, Laura Ferrara, europarlamentare del Movimento 5 Stelle. “Come Movimento 5 Stelle – aggiunge – abbiamo deciso di ascoltare le numerose voci di esperti, associazioni e la stessa cittadinanza, le quali denunciano l’incompatibilità del progetto cofinanziato da fondi europei, il quale potrebbe arrecare danni seri data la natura invasiva dell’esecuzione. Per fare chiarezza sulla gestione dei fondi utilizzati per il progetto denominato ‘Spa 2.4 Capocolonna-Ampliamento delle conoscenze della realtà archeologica e messa in sicurezza delle strutture archeologiche riportate in luce’, cofinanziato da fondi europei, abbiamo chiesto alla Commissione Europea, con un’apposita interrogazione, di verificare la regolarità del finanziamento e la compatibilità dei suoi obiettivi con le finalità del progetto, rispetto, in particolare, agli obiettivi degli accordi di programma quadro ed anche in considerazione delle modalità invasive di esecuzione sull’area”. “Secondo il progetto così com’è – dice ancora Laura Ferrara – verrà realizzata una ‘pavimentazione in cotto riquadrata da lastre in materiale lapideo’. Una colata di calcestruzzo che andrà a coprire importantissimi reperti archeologici, nonostante il progetto preveda un ampliamento delle conoscenze e non una copertura di parte di esse. Il progetto così concepito potrebbe arrecare un danno irreversibile ad un patrimonio storico archeologico che sta a cuore non solo ai calabresi. Siamo sicuri che si stia valorizzando tale importante sito storico? La gestione dei fondi destinati è in linea con i reali obiettivi ovvero la tutela e la riqualificazione?”. “Non possiamo permettere – sostiene infine l’europarlamentare M5S – che la sconsideratezza vinca sul buon senso. Gli interventi, che potrebbero arrecare un danno e non valorizzare quanto di bello ci hanno lasciato le antiche civiltà, sono pagati con soldi pubblici. È giusto che la stessa cittadinanza si faccia portavoce di un dissenso generale per come è attualmente concepito il progetto. Bisogna fare luce sulla reale fattibilità e come Movimento 5 Stelle porteremo la questione in tutte le istituzioni preposte”. Intanto, la protesta arriva anche allo stadio di Crotone la protesta per fermare i lavori di realizzazione di un parcheggio nell’area archeologica di Capo Colonna. All’inizio della gara tra Crotone e Latina, valida per il campionato di calcio di serie B, alcuni spettatori sugli spalti hanno esposto striscioni con slogan a difesa del patrimonio archeologico. In campo, invece, hanno sfilato gli attivisti del Comitato che da 13 giorni presidia la zona per impedire l’effettuazione dei lavori.

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Il sindaco di Crotone, Peppino Vallone, ha annunciato l’intenzione di emettere un’ordinanza per sospendere i lavori in corso al Capo Colonna dove la Soprintendenza archeologica della Calabria ha deciso di coprire con il cemento i resti di un antico foro romano rinvenuti nel corso degli scavi realizzati per la pavimentazione del sagrato del santuario mariano che si trova sul promontorio. L’annuncio del sindaco è arrivato nel corso della visita che il primo cittadino di Crotone ha effettuato al presidio di protesta attivo da 15 giorni promosso dai cittadini del Comitato Salviamocapocolonna. Un incontro atteso sin dal primo giorno dai manifestanti che Vallone ha compiuto dopo aver appreso che molti altri del suo gruppo politico si erano interessati al problema. Qualcuno sostiene che lo abbia fatto perché la situazione si sta rilevando per lui controproducente ai fini politici, tutto va però preso con il beneficio del dubbio. “Appena avrò domani la conferma dell’arrivo degli ispettori del ministero per i beni culturali a Capo Colonna – ha detto Vallone – emetterò un’ordinanza per sospendere i lavori finché non ci sarà il parere definitivo del ministero sul progetto”. Il sindaco, sollecitato da alcuni cittadini del Comitato tra i tanti che stanno presidiando giorno e notte l’area, ha anche espresso il suo parere sul progetto. “Non sono d’accordo – ha detto – su quanto fatto, ma non posso neppure permettere che questa bruttura resti qui per sempre a causa di un contenzioso con il ministero”. Intanto la conferma dell’arrivo dei commissari è avvenuta e i manifestanti hanno abbandonato il presidio in attesa di novità.

Difendiamo la storia: Capo Colonna presidiata

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Difendere Capo Colonna è quanto decidono di fare alcuni giovani crotonesi. Il perché è presto detto, si sta realizzando un parcheggio di fronte al santuario della Madonna di Capocolonna. Ad accendere i riflettori le referenti delle associazioni “Sette Soli” Margherita Corrado, archeologa e Linda Monte “Gettini di Vitalba”. Il loro grido viene raccolto dai parlamentari del Movimento Cinque Stelle Parentela e Morra che annunciano una interrogazione parlamentare al Ministro Franceschini. Per verificare quanto sta accadendo sabato 09 gennaio Paolo Parentela si reca al Parco Archeologico di Capo Colonna , accompagnato da un gruppo di attivisti e dall’archeologa Margherita Corrado e da Linda Monte. A quarantotto ore dalla verifica sui luoghi di Parentela, proprio mentre presenta l’interrogazione parlamentare, la ditta che esegue i lavori inizia la cementificazione del sito di fronte il santuario. Inizia il tam tam sulla rete e parte una protesta piuttosto vibrata. I manifestanti sono contrari alla cementificazione del piazzale sotto cui giacciono i resti dell’antico porticato annesso al foro romano che risale al II secolo a.C. Sul posto sono intervenuti i carabinieri che hanno provveduto alla loro identificazione nulla sono valse le rassicurazioni della dottoressa maria grazia aisa che ha definito l’intervento eseguito non invasivo perché la copertura dell’area sta avvenendo attraverso tecniche che isolano e proteggono i reperti sottostanti. al di sotto del terreno ha sostenuto ancora la dottoressa Aisa si possono rintracciare le fondazioni di 20 centrimetri, totalmente rasate, su cui un tempo si erigeva il colonnato. Del resto – ha concluso – si trattava di una piazza che, anticamente, venne anche e soprattutto utilizzata come mercato e quindi priva di ulteriori stratificazioni antropiche. Affermazioni che non convincono i manifestanti che decidono di presidiare il sito al fine di evitare che si continui a versare cemento. Un progetto respinto con forza dai cittadini e non solo da quanti presidiano l’area, ma bocciato anche dall’ex ministro per i Beni culturali Massimo Bray. In un post su Facebook l’ex ministro ha evidenziato: «Mi domando perché, ancora una volta, non sia prevalsa l’idea di tutela di un bene comune, rispettando la sensibilità dei cittadini». Una critica diretta, dunque, al progetto denominato “Spa 2.4 Capocolonna”. Intanto, sui social network, impazza la polemica, con diversi gruppi nati contro il progetto che esprimono anche forti critiche al sindaco di Crotone, Peppino Vallone. Del problema si interessa il Ministro per gli affari regionali Maria carmela Lanzetta che scrive una lettera al Ministro Dario Franceschini, Ministro per i Beni culturali. Tutto ciò accade mentre i manifestanti continuano a presidiare il sito i cui lavori sono stati voluti dalla Soprintendenza archeologica della Calabria e prevedono, come più volte detto, la pavimentazione del piazzale dove sono presenti reperti archeologici. Al Quinto giorno di protesta e dopo aver trascorso la terza notte all’ adiaccio, a capo colonna. Nella serata di ieri i manifestanti hanno accolto la richiesta della digos di spostare la protesta fuori dal cantiere in virtu dell’incontro che si svolgerà con il Prefetto De Vivo. Una protesta che sta producendo frutti se si considera che il ministro per gli Affari regionali Maria Carmela Lanzetta ha scritto al collega di Governo Dario Franceschini chiedendo un suo intervento in relazione al progetto di pavimentazione dell’area nel parco archeologico di Capo Colonna, a Crotone.”Amici archeologi, oltre ad associazioni culturali ed ambientaliste di cui sono socia (Fai, Legambiente) – scrive la Lanzetta – mi hanno informato di un intervento in atto nel parco archeologico da parte della Sovrintendenza unitamente al Comune. L’intervento, finanziato con fondi per la valorizzazione dei beni culturali ed archeologici, ha portato allo scavo di parte dell’antico Foro di età romana, ma prevede anche la pavimentazione della medesima area per destinarla a parcheggio della chiesa ivi esistente, coprendo irrimediabilmente i manufatti emersi dallo scavo del Foro. Questo esito assurdo si somma ad altri interventi improvvidi già in passato attuati nella città di Crotone da parte del Comune, segnali ripetuti di una scarsissima attenzione e considerazione delle proprie ricchezze culturali”. “Non mi rivolgo – conclude la Lanzetta – ai responsabili del tuo Ministero in Calabria ma mi rivolgo direttamente a te, conoscendo la tua grande sensibilità per la conservazione e la valorizzazione della nostra storia e del nostro passato”. Anche il Presidente della Regione Calabria Mario Oliverio, si interessa al problema e  dispone un’indagine conoscitiva rispetto alla vicenda, relativa al sito archeologico di Capo Colonna ed ha dato incarico al dirigente regionale del settore competente, arch. Schiava, di attivare i provvedimenti conseguenti. Nel frattempo la Digos intima ai manifestanti di lasciare l’area cementificata, richiesta che i manifestanti accolgono anche perché nel frattempo viene accolta dal neo Prefetto di Crotone, Vincenzo De Vivo, la richiesta di un incontro. Arrivano nel frattempo anche i chiarimenti della Soprintendenza che scrive:

Non si tratta di lavori per la realizzazione di un parcheggio, bensì della definitiva sistemazione del sagrato. L’area (mq. 1.160 circa) da sempre è stata problematica, in quanto presenta irregolarità dovute, nella maggior parte, agli affioramenti del banco roccioso del promontorio. Data la grande venerazione di cui è oggetto la chiesa e visto l’afflusso di turisti che, soprattutto tra aprile e ottobre, visitano il Parco Archeologico di Capo Colonna, negli anni sono state adottate soluzioni provvisorie con ghiaione steso a livellare la superficie, che le piogge o il viavai di uomini e mezzi regolarmente disperdevano. Per tali ragioni, oltre alla necessità di un adeguamento di questa porzione del parco archeologico alle normative sull’accessibilità da parte dei portatori di handicap, nel progetto è stata prevista una pavimentazione che risolvesse i problemi sopra esposti. Questa sarà realizzata con mattoni e basoli, materiali che richiamano quelli usati nei resti archeologici che la circondano, riferibili alla colonia maritima. Lo scavo archeologico, previsto da progetto, teso ad indagare possibili testimonianze antiche nell’area, ha messo in luce la presenza, sul lato settentrionale e, parzialmente, su quello occidentale del sagrato, di un edificio con doppio porticato, risalente all’epoca della fondazione della colonia romana, in asse con i resti delle domus già note. Purtroppo la continua frequentazione dell’area nei secoli ha quasi completamente eroso o confuso le stratigrafie antiche. Le ricerche hanno anche rivelato, sia sulla roccia naturale che sui resti murari, i segni inequivocabili di precedenti interventi di livellamento del piazzale. Pertanto dei lacerti murari antichi si conservano soltanto le fondazioni, spesso per un’altezza che non supera i 15/20 centimetri. Pur nella consapevolezza della grande importanza della scoperta, che sembra confermare le ipotesi più volte formulate sia da Fausto Zevi che da Alfredo Ruga, sulla collocazione in questo luogo del foro della colonia, lo stato di grave precarietà in cui si trovano le strutture scoperte ha sconsigliato una loro conservazione all’aperto, anche a causa dell’estrema aggressività ambientale del promontorio Lacinio. Pertanto, come già previsto in progetto, ultimati gli scavi ed eseguita la documentazione grafica e fotografica, comprensiva anche di immagini dall’alto realizzate tramite drone telecomandato, si è provveduto a coprire l’intera superficie del piazzale con tessuto-non tessuto, su cui è stato steso inerte per uno spessore oscillante tra i 20 ed i 50 centimetri, a uniformare i piani di rete elettrosaldata su cui si sta applicando uno strato di magrone di 10 centimetri. Il pavimento verrà posato a spina di pesce e, su questo ordito, in perfetta corrispondenza con quanto presente al di sotto, verrà disegnata in negativo, in calcare, la pianta delle strutture. A ciò si aggiungerà un pannello didattico che mostrerà foto d’insieme dell’area, prima della ricopertura. Quella che viene definita “cementificazione” è ben altro, ovvero una ragionata soluzione, sempre reversibile, al problema della conservazione in loco di strutture ormai in parte decoese, soggette a sollecitazioni erosive continue. La presenza di tessuto-non tessuto ed inerte garantisce la loro protezione dalle lavorazioni che si stanno realizzando, oltre ad attutire e distribuire il peso di quanto transiterà al di sopra.

Per poter gettare il magrone, poi, in modo tale da garantire la buona tenuta dello stesso e la coesione delle parti realizzate in tempi diversi, si è scelto di impiegare le betoniere, che avrebbero abbattuto sensibilmente i tempi di esecuzione. Ma per far ciò era necessario l’utilizzo di un percorso alternativo alla strada che dai parcheggi giunge alla chiesa, in quanto il ponticello che scavalca le mura romane è troppo stretto per questi mezzi. Perciò, basandoci sulla conoscenza delle zone con presenze archeologiche già accertate e su vecchi percorsi, esistenti da sempre sul promontorio, si è individuato un tracciato che, entrando dall’ingresso del faro, costeggia le mura fino ad un ampio varco, realizzato nel secolo scorso per far passare la strada che allora portava alla chiesa; da lì, attraversando l’area compresa tra le terme e la cinta romana, si raggiunge la recinzione da cui, smontando per l’occasione tre pannelli della stessa, i mezzi si possono immettere di nuovo sulla strada esistente. La stesura del magrone, in tempi normali, si sarebbe conclusa in tre giorni.

La tettoia che coprirà il balneum:

L’edificio pubblico meglio indagato della colonia romana, di m 18×22, scoperto da Paolo Orsi nel 1910 e riportato in luce nel 2003, è degno di nota per la presenza di un mosaico con motivi geometrici policromi che incorniciano un elemento centrale a scacchiera romboidale e quattro delfini agli angoli, e con l’iscrizione dedicatoria dei duoviri quinquennales Lucilius Macer e Annaeus Trhaso, cui si deve la costruzione della struttura termale. Il pavimento musivo è stato sempre tenuto coperto con tessuto-non tessuto e sabbia, per motivi di conservazione. Il progetto prevede la realizzazione di una tettoia, il cui disegno è stato approvato anche dalla consorella Soprintendenza BAP, che lo proteggerà dagli agenti atmosferici e permetterà ai visitatori di ammirarlo dopo tanto tempo. Il progetto della tettoia ha dovuto tener conto del fortissimo vento che spesso spazza il promontorio e pertanto prevede la realizzazione di sei plinti di appoggio, ognuno con due ancoraggi infissi nel terreno tramite trivellazioni di 25 centimetri di diametro. Le trivellazioni sono state realizzate durante il periodo delle feste natalizie, approfittando del momento climatico favorevole, per poter rispettare i tempi di consegna dell’opera che, essendo a finanziamento europeo, deve essere terminata entro il 2015, pena la sua decertificazione con conseguente restituzione delle somme erogate.

Il monitoraggio della falesia:

Da più parti sono giunte richieste per capire come mai non si stia provvedendo a “risolvere” il problema della progressiva erosione della costa del promontorio Lacinio. Capo Colonna, come buona parte della costa ionica della Calabria, subisce fenomeni di erosione, che stanno portando al lento disfacimento dei suoi profili costieri con danni irreparabili sia naturalistici, che paesaggistici, che storici, che archeologici. La presenza di un robusto strato di arenarie che poggia sulle argille azzurre, poco resistenti all’erosione marina, ne è una delle cause principali. Tale fenomeno è molto evidente sul promontorio Lacinio, dove ruderi divelti e rovinati a mare ne sono la clamorosa testimonianza. Si ricorda in proposito anche la seconda colonna del tempio A, di V secolo a.C., crollata, per lo stesso motivo, nel XVII secolo. Il progetto in argomento non poteva avere la forza economica di mettere in campo opere durature, che richiedono peraltro studi scientifici approfonditi per trovare la soluzione tecnica più appropriata, ma si è comunque cominciato ad affrontare il problema. Infatti si è previsto di monitorare per due anni la costa, per misurare l’entità del fenomeno. Tale monitoraggio del costone, poiché è realizzato in zona archeologica, è fatto con una tecnica poco invasiva, la DInSAR, interferometria differenziale SAR, collocando in opera anche 3 piezometri e 2 inclinometri.

Le condizioni del cantiere:

A detta dei manifestanti la cartellonistica di cantiere era incompleta e mancavano le reti di recinzione del cantiere stesso. In realtà nel momento in cui c’è stato il blitz del comitato spontaneo si stava concludendo il lavoro di stesura del magrone gettato precedentemente dalla betoniera, che se n’era andata da poco. Per il suo accesso al piazzale gli operai avevano dovuto spostare i pannelli che demarcano l’area e pertanto si era creato un varco attraverso il quale sono entrati i contestatori dell’opera. Quanto alla cartellonistica, bisogna precisare che questo progetto non interessa un’unica zona del parco, ma vari settori: pertanto si è stabilito che il cartello di cantiere con tutte le indicazioni sul progetto fosse esposto all’ingresso dell’area del Parco , mentre nelle varie zone recintate per lavori in corso sono stati apposti solo i normali cartelli con i divieti d’accesso. Il giorno precedente l’inizio delle contestazioni, inoltre, Capo Colonna è stata investita da forti venti di tramontana che hanno divelto diversi pannelli delle recinzioni di cantiere e vari cartelli. Pertanto si stava provvedendo al loro ripristino. La riprova che l’area di cantiere è in regola è data dal fatto che non esiste nessuna multa per inadempienze da parte dell’Ufficio del lavoro, come invece riportato da alcuni organi di stampa.

Telefonate ministeriali:

E’ stato scritto che il Ministro Dario Franceschini ha telefonato alla dott.ssa Aisa per chiedere spiegazioni e che ella sia stata convocata a Roma. Si chiarisce a tale proposito che al Ministro venne inviata, alcuni mesi fa, una lettera a firma Monte e Carta nella quale, in linea di massima, si muovevano le stesse accuse che oggi motivano la protesta. La segreteria del Ministro chiese alla Soprintendenza delucidazioni, che sono state prontamente date per iscritto, senza ulteriori seguiti. È vero, invece, che ha telefonato il Ministro Maria Carmela Lanzetta per chiedere notizie sull’accaduto; anche da lei le risposte fornite dal funzionario sono state ritenute corrette e soddisfacenti.

Questa Soprintendenza si stupisce dell’accanimento con cui viene portata avanti una protesta peraltro tardiva, in quanto il progetto, regolarmente approvato da tutti gli Enti interessati, è pubblicato sul sito della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Calabria da oltre un anno senza che alcuno prima abbia mai contestato le scelte progettuali adottate. Dispiace che non si sia tentato di avviare un confronto con i nostri uffici, che non si sono mai sottratti al dialogo, ciò che sarebbe stato utile per far emergere e poi sciogliere i dubbi e le perplessità che i lavori hanno sollevato in coloro che oggi stanno occupando l’area.

Si evidenzia infine il rischio di non veder completate le opere previste, perché il perdurare dell’occupazione potrebbe pregiudicare gravemente il buon esito dei lavori, togliendo così un’opportunità di miglioramento sostanziale al Parco di Capo Colonna.

Questi i chiarimenti della Soprintendenza. Non si fa attendere l’intervento del sindaco Vallone, che interviene inviando una lettera al Presidente del Consiglio Matteo Renzi dopo aver appreso della presa di posizione del Ministro Lanzetta.

«Improvviva, inaccettabile, imprudente e offensiva». Così si esprime nella missiva Peppino Vallone nel definire il giudizio che il ministro Maria Carmela Lanzetta ha dato su quanto sta accadendo a Capo Colonna. «Chi ricopre incarichi istituzionali, e un ministro in particolare, ha il dovere di infomarsi prima di emettere giudizi generici» ha detto il primo cittadino che appellandosi al presidente del Consiglio Renzi ha dichiarato inoltre «di non sentirmi rappresentato da questo ministro. Le sua esternazioni gratuite ed infondate non fanno che alimentare un clima altamente confuso senza portare nessun contributo in termini di chiarezza: appare evidente che il ministro è inadeguato al ruolo istituzionale che ricopre. Così si ragiona al mercato, non nelle stanze istituzionali». La Lanzetta, rivolgendosi a ministro per i Beni culturali Franceschini, aveva sostenuto che «l’intervento ha portato allo scavo di parte dell’antico Foro di età romana, ma prevede anche la pavimentazione della medesima area per destinarla a parcheggio della chiesa ivi esistente. Questo esito assurdo si somma ad altri interventi improvvidi già in passato attuati nella città di Crotone da parte del Comune, segnali ripetuti di una scarsissima attenzione e considerazione delle proprie ricchezze culturali». Nel frattempo, dopo la riunione richiesta dai consiglieri del Movimento 139 Teresa Cortese e Nino Corigliano, della Commissione Urbanistica si riunisce nel pomeriggio la Commissione Cultura e Archeologia presieduta dal consigliere Fabrizio Meo.La IV Commissione consiliare nella seduta del 16 gennaio 2015, a seguito dell’acquisizione della documentazione relativa all’intervento in corso d’esecuzione nell’area archeologica di Capo Colonna, valutato altresì quanto appreso nel corso delle audizioni sfogate sull’argomento, preso atto del clamore mediatico suscitato a livello nazionale, considerata l’urgenza del provvedere e l’assoluta improcrastinabile necessità di assumere una determinazione che tuteli il territorio al pari dell’immagine della città, si è determinata nel senso di chiedere a tutti gli enti coinvolti nell’esecuzione dell’intervento di volere fornire ogni possibile chiarimento in ordine ai lavori in corso di esecuzione.
La IV Commissione Consiliare richiede all’Amministrazione comunale di volersi adoperarsi al fine di preservare l’integrità del nostro patrimonio archeologico esperendo ogni possibile ulteriore azione ed accertamento che valga a chiarire le perplessità sollevate.
Si raccomanda inoltre che ove fossero eventualmente accertate violazioni piuttosto che omissioni imputabili all’Ente appaltante, l’Amministrazione comunale di Crotone e lo stesso Consiglio comunale metta in campo ogni possibile azione necessaria al ripristino dell’integrità culturale e paesistica dei luoghi che tanto rappresentano la nostra identità e la nostra appartenenza.
Specificatamente si domanda che l’Amministrazione voglia valutare di richiedere al soggetto preposto all’attuazione dell’intervento un ripensamento piuttosto che una sospensione dei lavori in esecuzione che riguardano il piazzale ubicato di fronte alla chiesa di Capo Colonna.

La IV Commissione consiliare riserva ogni ulteriore azione o intervento che sia finalizzato a preservare l’integrità del nostro patrimonio archeologico, anche in esito a quelle che saranno le determinazioni assunte dall’Amministrazione avuto riguardo alle richieste formulate nel corso dell’odierna seduta . Tutto ciò non ha fatto desistere i manifestanti che per la quinta notte dormono all’addiaccio. Per la giornata di domani sabato 17 gennaio proprio a Capo Colonna organizzeranno una manifestazione. E c’è attesa per la conferenza stampa indetta dal sindaco Vallone.

Ocse, in Italia buona sanità ma a rischio per tagli. In Italia 21 sistemi sanitari con notevoli differenze

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L’Italia ha una buona assistenza sanitaria, superiore alla media, ma con delle criticità da risolvere a cominciare dai rischi connessi ai continui tagli al bilancio. Lo afferma l’Ocse nella sua “Revisione sulla qualità dell’assistenza sanitaria in Italia” presentata oggi a Roma. ”Gli indicatori di esito, qualità ed efficienza del sistema sanitario italiano sono uniformemente notevoli – sottolinea il documento -L’aspettativa di vita, 82.3 anni, è la quinta più alta tra i Paesi OCSE. I tassi di ricovero per asma, malattie polmonari croniche e diabete (indicatori di qualità delle cure primarie) sono tra i migliori nell’OCSE e quelli di mortalità a seguito di ictus o infarto (indicatori di qualità dell’assistenza ospedaliera) sono ben al di sotto della media”. Il rapporto sottolinea anche come l’assistenza sia fornita a un prezzo contenuto, 3027 dollari procapite, più basso di Paesi limitrofi come Austria (4593), Francia (4121) e Germania (4650). Accanto alle luci il documento evidenzia però alcune ombre, a cominciare dall’eccessiva frammentazione e da una scarsa propensione alla prevenzione. ”Il risanamento delle finanze è divenuto priorità assoluta, nonostante i bisogni in fatto di salute evolvano rapidamente. L’Italia deve confrontarsi con un crescente invecchiamento della popolazione ed un aumentato carico delle patologie croniche – scrivono gli esperti Ocse – che probabilmente si tradurranno in aumentati costi. Attualmente il progresso verso un modello di sistema sanitario in cui la prevenzione e la gestione di tali patologie siano in primo piano è piuttosto lento; i servizi per l’assistenza di comunità, a lungo termine e di prevenzione sono poco sviluppati rispetto agli altri Paesi OCSE”.Ocse, in Italia buona sanità ma a rischio per tagli.

”In Italia ci sono 21 sistemi sanitari diversi, con differenze notevoli sia per quanto riguarda l’assistenza che gli esiti”. Lo rileva l’Ocse nella sua “Revisione sulla qualità dell’assistenza sanitaria in Italia” presentata oggi a Roma. ”L’Italia è un paese molto eterogeneo – si legge nel documento – sia dal punto di vista sociale che economico; tale eterogeneità si riflette nel sistema sanitario: malgrado i tentativi di armonizzazione, le differenze regionali in termini di qualità dell’assistenza rimangono significative. Si osservano enormi differenze tra e entro le Regioni e Province Autonome nelle modalità e negli strumenti di gestione della performance del sistema sanitario e nei modelli di accreditamento; ciò rende difficile il confronto con gli standard nazionali e limita la responsabilità del provider nei confronti dell’utente”. Il rapporto ha raccolto anche diversi esempi di disparità regionali. ”La percentuale di pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica entro 48 ore dall’infarto varia da 15% nelle Marche, Molise e Basilicata a 50% in Valle d’Aosta e Liguria – sottolineano ad esempio gli autori – le differenze all’interno delle Regioni sono ancor più marcate: lo stesso indicatore varia da ~5% a oltre il 60% se disaggregato a livello di ASL”.

Forestale, in Italia un reato ambientale ogni 43 minuti

reati ambIn Italia si consuma una violazione ambientale ogni 43 minuti e il 22% dei reati sono commessi contro animali e fauna selvatica. Risultato: trofei di caccia, animali imbalsamati, zanne e corni d’avorio, ma anche coralli. A livello globale, solo il giro d’affari da traffici illeciti di specie protette o a rischio ammonta a 23 miliardi di dollari l’anno, cifra che lo attesta al quarto posto, dopo i commerci illegali di droga, armi ed esseri umani. Sono questi i dati emersi nel corso della presentazione dell’attività svolta dal servizio Cites – la Convenzione sul commercio internazionale di specie animali e vegetali minacciate di estinzione (Convention on international trade in endangered species of wild fauna and flora) – del Corpo forestale dello stato che ottempera alle disposizioni della Convenzione di Washington firmata il 3 marzo 1973 ed entrata in vigore in Italia il 31 dicembre 1979. L’Italia continua ad essere ai primi posti per numero di sequestri effettuati in ambito Cites tra i Paesi dell’Unione Europea, nel 2014 seconda solo alla Francia. Nel corso dei 68.290 controlli operati in Italia nel 2014, di cui 66 mila in ambito doganale e più di 1.500 dislocati su tutto il territorio nazionale, sono stati accertati 174 reati (erano 269 nel 2013) riguardanti il commercio illegale di piante e animali tutelati dalla Convenzione di Washington. In calo anche gli illeciti amministrativi contestati per oltre 400 mila euro rispetto ai 265, per un valore di 500 mila euro, nel 2013. Aumenta, però, il valore complessivo delle specie sequestrate: circa 500 mila euro nel 2014 contro i 450 mila del 2013. Sono 389 gli animali vivi sequestrati, 963 gli animali morti o le parti di animali, circa 500 i chilogrammi di anguille vive e 10 di coralli. I sequestri hanno riguardato per la maggior parte gli uccelli (il 46% dei casi riguarda proprio l’avifauna) e i rettili (45%); il 6% gli invertebrati, il 2% i mammiferi e il rimanente 1% i pesci. Grazie ai controlli, in netta diminuzione il commercio legato ai prodotti della medicina tradizionale cinese e i reati relativi al commercio illegale di caviale. Lombardia e Toscana le regioni più controllate con 23 mila interventi ciascuna, 6.668, invece, i controlli compiuti nel Lazio che hanno portato a 20 indagati, mentre sono 7 sia i reati accertati che i sequestri effettuati; otto le sanzioni amministrative per un importo totale di 47.700 euro. In totale ammontano a 67 gli esemplari di animali posti sotto sequestro, tra cui 35 tartarughe e un pitone. Tra le parti di animali, inoltre, sono stati sequestrati un cranio di coccodrillo imbalsamato e uno di rinoceronte. Una zanna d’avorio e denti di elefante completano la lista.(ANSA).

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